Seedble è una PMI innovativa che dal 2014 disegna e crea organizzazioni future-proof in grado di innovare, evolversi e adattarsi a tutti gli scenari socio-economici
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Ha ancora senso parlare di Open versus Closed Innovation?
La vera sfida per le aziende non risiede più nella scelta tra un modello di innovazione completamente chiuso o aperto, Open Innovation versus Closed Innovation, ma piuttosto nella capacità di trovare un equilibrio strategico che integri efficacemente le proprie risorse con la ricchezza dell'ecosistema esterno.
Molte grandi aziende si trovano ancora in una fase di transizione, più vicina al modello dell’innovazione chiusa che ai principi dell'Open Innovation. Mentre tra le PMI, spesso non viene nemmeno affrontato il discorso.
Queste ultime hanno maggiori difficoltà a innovare e, quando ci provano, si ritrovano facilmente a seguire i classici schemi della Closed Innovation, perché associano l'innovazione alla ricerca e sviluppo, dando peso rilevante alla sola tecnologia.
Ma se associamo il concetto di innovazione unicamente a quella tecnologica, non riusciamo a scorgere il suo potenziale esteso, ossia quell'insieme di miglioramenti che consentono di evolvere lo status quo.
Confrontare i due modelli può aiutare a comprendere i benefici concreti dell'apertura, a motivare un cambiamento culturale e strategico verso approcci più collaborativi, ma soprattutto a capire come farlo, evidenziando come superare la resistenza interna e i bias cognitivi.
Inoltre capire cosa non è Open Innovation è fondamentale per evitare fraintendimenti e implementazioni superficiali, perché:
non è solo crowdsourcing,
non significa fare progetti open source,
non è semplicemente lanciare Call4Startup,
né organizzare hackathon,
e neppure comprare una startup o una tecnologia preesistente.
Fare Open Innovation è tutto questo, insieme, ma anche molto altro.
Infine, parlare dei modelli precedenti aiuta a prepararci al futuro dell'innovazione, a nuove modalità e sviluppi, perché la discussione sull'Open Innovation non è statica, come vedremo.
Cos’è la Closed Innovation: l’approccio tradizionale all’innovazione
Il modello della Closed Innovation, o Innovazione Chiusa, ha rappresentato per lungo tempo l'approccio tradizionale all'innovazione per la maggior parte delle aziende.
Secondo questo modus operandi, l’innovazione si sviluppa solo ed esclusivamente all’interno dell’azienda, internalizzando conoscenze, competenze e know-how.
Questo modello tende a vedere l'innovazione solo per pochi e solo con determinati metodi e strumenti, restringendo il raggio d'azione a pochi all'interno dell'organizzazione, ovvero a chi si occupa di tecnologia, di R&D.
La Closed Innovation è infatti la strategia organizzativa che ha contraddistinto la crescita economica del secolo scorso, caratterizzata dalla preservazione dei confini aziendali rispetto ai player esterni. Questo ha storicamente limitato la possibilità di innovare davvero a poche grandi aziende, quelle che potevano investire capitali importanti per:
internalizzare tutte le funzioni aziendali chiave, sostenendone tutti i costi necessari soprattutto in materia di ricerca e sviluppo;
assumere e trattenere le risorse umane più preparate, qualificate e competenti sul mercato in modo da ottenere il massimo dalla ricerca sull’innovazione;
garantire il pieno controllo dell’azienda sugli output innovativi, ovvero la paternità e la proprietà intellettuale dell’innovazione (in questo caso le entrate aziendali sono frutto della commercializzazione al dettaglio dei propri prodotti e servizi innovativi, non contemplando opzioni di licensing).
Alcuni moderni sostenitori della Closed Innovation ritengono che mantenere i processi di innovazione all’interno dell’azienda possa rendere l’innovazione stessa più dirompente e più facile da sviluppare.
Ma nel contesto attuale, caratterizzato da una rapida evoluzione tecnologica, da una maggiore mobilità dei talenti e da un'intensificazione della concorrenza, la Closed Innovation mostra limiti sempre più evidenti:
elevatissimi costi di gestione, legati al costo delle prestazioni lavorative e della ricerca;
scarso coinvolgimento di tutte le risorse umane, in quanto solitamente solo gli “addetti ai lavori” prendono parte ai processi di innovazione;
preclusione della possibilità di individuare nuovi trend e potenziali mercati dove l’azienda può inserirsi con vantaggio.
generale lentezza nello sviluppo e nel rilascio di innovazione, che può essere fatale in un mondo sempre più veloce.
Inoltre, il modello chiuso è spesso associato alla "sindrome del non inventato qui" (NIH, Not Invented Here), una barriera culturale che porta a sottovalutare o respingere idee e soluzioni provenienti dall'esterno, limitando il potenziale innovativo dell'organizzazione.
Quindi la Closed Innovation può essere vista, oltre che come una fase storica, come un punto di partenza per le aziende, primo gradino di crescita in un contesto che richiede sempre più integrazione tra risorse interne ed esterne per generare innovazione di successo.
Cos’è l’Open Innovation? Estendere i processi innovativi oltre i confini aziendali
L’Open Innovation, o Innovazione Aperta, è invece un modello organizzativo e di business che punta a estendere i processi legati all’innovazione oltre i confini aziendali, a vedere il mercato come un'estensione naturale del team di innovation.
Questo approccio strategico e culturale si basa sulla ricerca del potenziale per lo sviluppo attraverso la collaborazione e l’interazione con l’ambiente circostante, in particolare con altre aziende e PMI, startup, Università, Tech Park, incubatori, collaboratori esterni, condividendo idee, tecnologie e altre risorse.
Henry Chesbrough, l'economista che ha coniato il termine nel 2003 in un saggio intitolato "The era of Open Innovation", definiva l'innovazione aperta come un paradigma secondo cui "le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati, se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche".
Questo approccio rappresentava una rottura dirompente rispetto al modello tradizionale di Closed Innovation: l'idea di aprire i confini aziendali per accogliere idee, competenze e tecnologie esterne sfidava le consolidate pratiche di ricerca e sviluppo interne.
Ma l'innovazione chiusa non era più sufficiente. Da un lato, le conoscenze e i talenti viaggiavano (e continuano a viaggiare) a una velocità sempre maggiore, grazie a Internet e alla facilità degli spostamenti, rendendo difficile trattenerli in azienda a lungo.
Dall'altro lato, i mercati dei capitali hanno iniziato a concentrarsi anche su aziende basate su modelli di business e approcci completamente nuovi e disruptive rispetto al passato.
Davanti a questi cambiamenti, Henry Chesbrough iniziò a riflettere sul fatto che la globalizzazione avrebbe reso sempre più costosi e rischiosi i processi di ricerca e sviluppo interni, anche a causa del ciclo di vita dei prodotti sempre più breve e della facilità di riprodurre le innovazioni tecnologiche in tempi brevi.
Le organizzazioni che basano la propria crescita sull’Open Innovation ottengono invece numerosi vantaggi.Le grandi aziende possono:
esternalizzare la funzione di ricerca e sviluppo, riducendone i costi;
fare crowdsourcing per accedere a competenze variegate, ampliamento del network, opportunità per la diversificazione;
ottenere contaminazione con l'esterno, che aiuta a sviluppare un mindset aperto al cambiamento e scoprire nuovi trend;
Per le startup significa:
avere accesso a risorse e network di grandi corporate,
la possibilità di inseguire maggiori opportunità, di crescere più velocemente.
Le scuole e le Università possono entrare in circoli virtuosi che favoriscono la ricerca, l’offerta didattica e il placement di giovani talenti neodiplomati e neolaureati.
Infine le PMI possono trarre vantaggio dalle risorse e dal know-how di grandi aziende e partner di settore, tagliando gran parte dei costi di sviluppo interni e investendo sul licensing di tecnologie, software o brevetti.
In generale possono avvicinarsi all’innovazione, cosa che prima era impensabile per realtà di dimensioni ridotte.
Il modello evoluto: una definizione di Open Innovation aggiornata
L’innovazione “Open” in questi anni è passata da concetto teorico a vero e proprio mantra per alcune delle aziende di maggior successo al mondo, evolvendosi insieme alle caratteristiche che la identificano.
Secondo una definizione più recente dello stesso Chesbrough, infatti:
l'Open Innovation è un modello di innovazione distribuita che coinvolge afflussi e deflussi di conoscenza, gestiti in modo mirato tra i confini dell’organizzazione, fino a generare anche ‘spillover"
(Open innovation results, Chesbrough and Bogers, 2014).
Cosa significa nel concreto?
Che questo modello, alla luce degli sviluppi più recenti, implica un interscambio di conoscenza, in cui:
Gli "afflussi di conoscenza" si riferiscono all'acquisizione di idee, soluzioni, strumenti e competenze tecnologiche che provengono dall'esterno, ma anche dall’interno in modi non convenzionali (stimolando l’intrapreneurship delle proprie persone e le idee dal basso, ad esempio).
I "deflussi di conoscenza" implicano che l'organizzazione può anche condividere le proprie conoscenze e tecnologie con l'esterno, attraverso licensing di brevetti o spin-off. Non più segreti aziendali rinchiusi e tutelati con attenzione, dunque, ma risorse che possono essere messe a disposizione di tutti, non senza un beneficio economico per l’azienda originale.
Ecco cosa intende Chesbrough con la capacità di generare "spillover". Questo termine si riferisce al fenomeno che si verifica quando un'attività economica produce effetti positivi anche oltre gli ambiti per cui agisce, ed è proprio ciò che fa l’innovazione aperta.
Le collaborazioni e gli scambi di conoscenza nell'ambito dell'Open Innovation possono portare a benefici inaspettati e più ampi, che vanno al di là degli obiettivi specifici della collaborazione.
Tutto questo non è un processo casuale, ma richiede una gestione strategica e culturale per intercettare al meglio le opportunità del mercato e integrare le innovazioni esterne con il proprio modello di business.
Open Innovation vs Closed Innovation: trovare l’equilibrio
D’altra parte la transizione verso un modello di innovazione più aperto non significa abbandonare completamente le risorse interne, ma piuttosto saperle integrare in modo sinergico con le competenze e le idee esterne.
L'obiettivo è creare un ecosistema dell'innovazione in cui la collaborazione e lo scambio di conoscenze generino valore per tutti gli attori coinvolti, in cui l'innovazione non è più vista come un processo isolato all'interno di un'organizzazione, ma come un fenomeno distribuito e collaborativo.
Come afferma Federico Frattini, è cruciale sviluppare il "know-where", ovvero la capacità di interconnettersi con il mondo esterno per trovare le risorse necessarie, contrapposto al classico "know-how" di competenze distintive interne all'azienda che, in un mondo in rapida evoluzione, non è più sufficiente per rimanere competitivi.
Il "know-where" invece risiede nella capacità di un'organizzazione di identificare e accedere a fonti esterne di innovazione, stabilire partnership strategiche, per condividere rischi e costi, e partecipare a un ecosistema che facilita lo scambio di idee, la condivisione di best practice e l'individuazione di nuove tendenze e opportunità di mercato.
Open Innovation: Come Attivarla e Quali Strumenti Adottare?
Attivare in modo efficace l'Open Innovation richiede un approccio strategico e sistematico, che va oltre la semplice adozione di singoli strumenti.
È fondamentale riconoscere il ruolo cruciale della "contaminazione", spesso definita anche "cross pollination" o "cross fertilization", come elemento abilitante di questo paradigma.
La "contaminazione" si riferisce allo scambio di idee, conoscenze e competenze tra diversi attori, sia interni che esterni all'azienda. Questo processo di interazione e ibridazione può portare a nuove intuizioni, soluzioni innovative e modelli di business inaspettati.
Ma quali modalità si possono utilizzare per stimolarla?
Le aziende possono adottare diverse metodologie e strumenti, spesso raggruppabili in approcci "Inbound" (portare innovazione esterna all'interno) e "Outbound" (portare innovazione interna all'esterno).
Approcci Inbound all'Open Innovation:
Innovation Management Platforms: Queste piattaforme digitali giocano un ruolo cruciale nel connettere le aziende con un vasto ecosistema di innovatori, startup e tecnologie esterne. Operano come "broker" facilitando l'incontro tra domanda e offerta di innovazione. Piattaforme come blendX sono progettate per aiutare le aziende a risolvere problemi specifici attraverso la creazione di challenge e contest, permettendo di mappare le soluzioni più performanti. In più, semplificano lo scouting di soluzioni, la gestione delle idee e, in generale, l'intera filiera dell'innovazione aperta.
Call for Ideas, Call for Startup, Challenge e Contest: questi strumenti permettono alle aziende di raccogliere idee innovative su temi specifici da un ampio pubblico interno o esterno, che può includere startup, PMI, associazioni, professionisti o singoli individui. Le Call4Startup ad esempio mirano ad attrarre startup per integrare le loro soluzioni o sviluppare nuove linee di business, mentre le Challenge identificano un bisogno specifico dell'azienda per cui si cercano soluzioni esterne.
Hackathon, Datathon, Appathon: si tratta di competizioni che coinvolgono sviluppatori esterni per creare prototipi funzionanti e soluzioni innovative in un periodo di tempo limitato. L'obiettivo è risolvere problematiche di business o di processo attraverso la realizzazione di prototipi potenzialmente applicabili.
Collaborazioni con Università e Centri di Ricerca: queste partnership offrono accesso a invenzioni, brevetti, competenze scientifiche e la possibilità di sperimentare nuove tecnologie e metodologie, permettendo di entrare in circoli virtuosi che favoriscono la ricerca e lo sviluppo.
Incubatori e Acceleratori (interni e o esterni): le aziende possono creare o collaborare con incubatori e acceleratori per supportare la nascita e la crescita di startup innovative. Queste strutture forniscono mentoring, networking, spazi di co-working e, talvolta, finanziamenti, facilitando una collaborazione più diretta e mirata con le giovani imprese.
Corporate Venture Capital (CVC): Investire direttamente in startup permette alle aziende non solo di ottenere un ritorno finanziario, ma anche di avere un accesso privilegiato alle innovazioni e alle tecnologie sviluppate.
Numerose aziende hanno implementato con successo strategie di Open Innovation con una o più di queste modalità. Eni è un esempio italiano riconosciuto a livello internazionale per aver ripensato il proprio business attraverso l'Open Innovation, creando una divisione dedicata e stringendo centinaia di partnership con startup anche attraverso Eni Joule, l’incubatore d’impresa interno su cui da anni Seedble li supporta.
Approcci Outbound all'Open Innovation:
Corporate Venture Building: Questo modello prevede la creazione di nuove società (spin-off) che trasformano un'idea imprenditoriale sviluppata internamente in un'impresa autonoma, ispirandosi al modello degli Startup Studio.
Platform Business Model: creare una piattaforma che facilita lo scambio di valore tra due o più gruppi interdipendenti (platform sides), risolvendo una frizione di mercato e facilitando l'interazione.
Joint Venture: accordi in cui due o più imprese collaborano per un progetto comune, condividendo sinergie, know-how o capitale.
Licensing: concedere in licenza tecnologie o brevetti sviluppati internamente a terzi, generando nuove fonti di ricavo.
L'obiettivo finale è creare un ecosistema dell'innovazione in cui la collaborazione e lo scambio di conoscenze generino valore per tutti gli attori coinvolti, superare la "sindrome del non inventato qui" e sviluppare il "know-where", e coltivare quella rete strategica di connessioni e partnership per accedere a competenze e risorse esterne, tra università, istituti di ricerca, startup, fornitori e concorrenti.
Come portare l’Open Innovation dall’idea al successo
In conclusione, mettere in pratica l'Open Innovation richiede un cambio di mentalità e l'adozione di un approccio olistico che integri diverse strategie, strumenti e figure professionali.
L'obiettivo è creare un ecosistema dinamico in cui la collaborazione e lo scambio di conoscenze diventino la norma, permettendo all'azienda di accedere a un mondo di opportunità esterne e di generare valore condiviso, attraverso una serie di passaggi graduali ma essenziali.
Il passo zero è ovviamente definire una strategia chiara per l'innovazione, con obiettivi specifici: detto così sembra generico, ma ci viene in aiuto il lavoro di Tendayi Viki, autore di “The Corporate Startup” e consulente Lean Innovation, che suggerisce di definire una Innovation thesis che illustri i confini di azione dei progetti innovativi entro cui l’azienda si deve muovere per investire.
Può essere utile anche tenere un portfolio dei progetti innovativi seguiti, da suddividere in:
attività core (legate al business dell’azienda),
attività considerate parallele al core business,
e attività trasformazionali, ossia disruptive, che proiettano l’azienda verso nuovi mercati emergenti.
Ciascuna attività dovrà passare attraverso un framework in tre fasi per essere validata:
Esplorazione, Pilota, Commercializzazione (quest’ultima, ovviamente, solo per i progetti che superano le prime due).
In generale, ecco alcuni consigli che possiamo dare a chi voglia esplorare il mondo fuori dai confini dell’innovazione chiusa, affacciandosi all’Open innovation:
Creare un team dedicato e allocare risorse adeguate per le iniziative di Open Innovation. È fondamentale dotarsi delle competenze giuste e di esperti che possono aiutare a disegnare il modello, anche avvalendosi di consulenti esterni per massimizzare gli sforzi.
Sviluppare una cultura aziendale aperta alla collaborazione, alla condivisione della conoscenza e alla sperimentazione, attraverso la sperimentazione e progetti pilota.
Utilizzare un mix di strumenti e approcci Inbound e Outbound in base alle esigenze e agli obiettivi aziendali.
Misurare i risultati, considerando sempre il necessario ROI dell'innovazione e tutte le metriche da monitorare.
Apprendere dai successi e dai fallimenti. La cultura del fallimento e del "fail fast" è importante per accelerare l'apprendimento.
Coinvolgere attivamente il management e ottenere il loro supporto per le iniziative di Open Innovation.
Utilizzare un approccio di budget incrementale, con risorse sempre più dedicate, ma non pretendere di fare innovazione senza investimenti minimi.
Essere consapevoli delle sfide e delle complessità legate alla gestione della proprietà intellettuale e alla collaborazione con partner esterni.
La sfida attuale non è scegliere tra un modello o l'altro, ma trovare un equilibrio dinamico e gestire una transizione intelligente verso un ecosistema di innovazione più ampio e collaborativo, integrando al meglio le proprie competenze interne con la ricchezza di idee e risorse esterne.
L'emergere di concetti come la Coalescence Innovation dimostra che il paradigma dell'innovazione è in continua evoluzione verso modelli sempre più aperti e partecipativi.
Comprendere le basi dell'Open Innovation, confrontandole con quella chiusa a cui siamo storicamente e culturalmente abituati, è quindi essenziale per interpretare e accogliere le tendenze future.